RIFLESSIONI SPARSE CON DINO BAGGIO, SUL CALCIO GIOVANILE: TRA ETICA E RISPETTO.
A cura di Christian Maraniello
Una delle pagine più brutte, a livello di campo, del calcio italiano è stata indubbiamente la mancata qualificazione ai recenti mondiali svoltisi in Russia.
Mi verrebbe da dire: quando le cose precipitano, è più facile risalire. Ma le cose, ahimè, non stanno andando propriamente così. Quella partita disgraziata contro la Svezia pareva essere una grande opportunità, un inizio di rinnovamento del nostro movimento, magari cercando di (non dico scimmiottare) ma almeno prendere spunto da nazioni come l’Inghilterra o la Germania che, grazie ai loro fallimenti, sono ripartiti con progetti all’avanguardia.
Molti analisti ed esperti, anche economici, sono intervenuti a parlare dei problemi generali del calcio italiano, che inevitabilmente si ripercuotono sui settori giovanili, e che dal campo si manifestano, poi, evidentemente, anche sulle poltrone barocche dei salotti che contano.
Non è, però, nostra intenzione riportare le varie opinioni al riguardo: la rete e la carta stampata producono molteplici articoli e quindi si possono trovare ovunque.
Troviamo invece più stimolante cercare di dare voce a chi ha davvero interesse a sensibilizzare chi di dovere, ad aprire gli occhi quantomeno verso uno dei più grandi benchmark che abbiamo, che è appunto quello del settore giovanile.
Qualcosa, bisogna dirlo, sta cambiando, specie a livello federale. Ne sono testimonianza i recenti risultati positivi delle varie rappresentative.
Tuttavia aleggia ancora un certo immobilismo, specie a livello di club. Se davvero non c’è interesse a soverchiare un potere così grosso come quello del calcio dei grandi, che si provi a farlo con quello dei giovani.
La Rivista, nel proprio piccolo, sta cercando di dare visibilità direttamente ai ragazzi, intervistandoli e dando loro la possibilità di farsi conoscere, non solo per le gesta sul campo, ma anche fuori.
In questo senso, diverse società professionistiche ci vengono incontro, concedendo le richieste autorizzazioni, e quindi devo dire che quel mondo non è poi così ermetico come sembra. Certo, si potrebbe fare di più, ma insomma non ci lamentiamo, anche perché i club che non concedono queste “chiacchierate” sono legate a policy aziendali piuttosto severe, e che chiaramente rispettiamo.
L’argomento, lo sappiamo bene, è spinoso, complicato, e purtroppo poco dibattuto, sicchè verte longitudinalmente su ogni aspetto del calcio giovanile, giocato e non: dall’etica e rispetto visti a 360 gradi, sino alle faccende di campo, come ad esempio uno dei macroscopici problemi che nessuno affronta, ed inerente la corsa prorompente agli stranieri, che stanno inondando senza senso quasi tutti i vivai, ingolfandoli in modo disarmante.
Abbiamo quindi deciso di sentire anche ex calciatori di un certa importanza, stimolandoli sugli argomenti delineati.
Introduzione al personaggio
Iniziamo quindi questa nuova piccola avventura con Dino Baggio, uno che non ha certo bisogno della mia presentazione.
Nato nelle giovanili del Torino, è poi esploso con le maglie dell’Inter, della Juventus, del Parma, della Lazio, del Blackburn Rovers, chiudendo la carriera nell’Ancona e nella Triestina.
Ha vestito anche la maglia della Nazionale Under 21 prima (vincendo il campionato Europeo di categoria), e maggiore poi. Partecipò, giocando tutte le partite, al Mondiale del 1994, guidato da Arrigo Sacchi, e perso solo ai rigori contro il Brasile.
Sollevò diversi trofei, anche internazionali, tra cui ricordiamo n. 3 Coppa Uefa, una Supercoppa Italiana, una Coppa Italia, e collezionando in tutto più di 500 partite tra i professionisti.
L’ho sempre considerato uno dei centrocampisti più completi degli anni 90, ed anzi devo dire che, per certi versi, già all’epoca era un giocatore proiettato nel nuovo secolo: aveva forza fisica, cattiveria agonistica, versatilità, corsa, tecnica ed una balistica pazzesca, che gli ha permesso di realizzare reti indimenticabili (come quello alla Spagna, ai quarti del mondiale 1994), con uno slavadenti da venti metri.
Intervista a Dino Baggio
Caro Dino intanto grazie della cortese disponibilità.
Partirei subito dall’episodio raccontato su molti quotidiani, e che ha visto coinvolta la scuola calcio di Giovanni Galli, durante una partita nella categoria esordienti, quando un gruppo di genitori si è azzuffato sugli spalti. Ebbene, la proposta di Galli è stata quella di far partecipare i genitori ad un “allenamento pedagogico”, ossia obbligarli a partecipare a riunioni rieducative e ascoltare i consigli di psicologi, dirigenti sportivi e pedagogisti, su come ci si comporta sugli spalti. La proposta a noi è piaciuta molto. Come ti poni al riguardo?
Si, devo dire che la proposta di Giovanni è condivisibile, e penso sia la strada giusta per educare i genitori, prima dei ragazzi stessi, perché effettivamente ci sono situazioni incredibili, ed alle volte letteralmente fuori controllo. Mi auguro che questa proposta non resti lettera morta, e che anzi anche in seno alla Federazione si faccia qualcosa per risolvere questo problema, anche se purtroppo non è certo l’unico.
Hai avuto anche tu, al Montebelluna, problemi di questo tipo?
Fortunatamente non ci è mai capitato di assistere a zuffe o risse tra genitori, quindi diciamo episodi così eclatanti no, però ti dico che in tribuna sentiamo spesso i presenti, genitori o parenti, insultare l’arbitro e non solo.
Quello che infatti mi fa più male è sentire gli insulti dei genitori al proprio figlio, ed anche ad altri giocatori in campo.
Ecco perché penso che la proposta di Galli sia da condividere, non solo quindi come criterio per insegnare ai genitori l’educazione, ma per insegnare loro come guardare la partita.
Tra l’altro, ti dico che nel 90% dei casi sono le mamme ad essere le più agitate (ride).
Comunque se ci pensi bene, è pazzesco che nel 2019 si debbano “obbligare” i genitori a seguire questi allenamenti pedagogici, ma se è l’unico modo per cominciare a cambiare qualcosa, ben vengano.
Credi che il calcio moderno – a maggior ragione tra i giovani – stia perdendo di vista i veri valori fondanti dello sport in generale, quale l’etica ed il rispetto?
Quando mi hanno convinto a tornare nel mondo del calcio, a Montebelluna, quindi 4 anni fa, ho sempre chiesto ai ragazzi di avere rispetto per l’avversario. Ed il rispetto si guadagna sul campo anche con l’aggressività, purchè essa sia sempre agonistica, mai gratuita e cattiva.
Non voglio che i ragazzi entrino per fare male. Se si commette un fallo, si chiede scusa e si dà il cinque. Ed una cosa che detesto sono le provocazioni: i ragazzi sanno che non voglio che gli avversari vengano provocati.
Si va in campo per giocare e divertirsi. Se si vince bene, se si perde si pensa alla partita successiva e ti deve servire da lezione.
Il calcio è fatto di educazione ad ogni livello, quindi non solo tra chi gioca, ma anche fuori dal campo, tra allenatori, arbitri e spettatori. Tutti i soggetti sono coinvolti.
Ti racconto un episodio a cui ho assistito in occasione della nostra gara di andata della semifinale del campionato. La partita è stata correttissima, bella e ad un certo punto Alessandro, mio figlio, calciando la palla ha avuto i crampi e si è accasciato. Un avversario ha immediatamente buttato fuori la palla, anche se poteva sviluppare un’azione offensiva, e subito è andato ad aiutarlo con l’esercizio apposito.
E’ stato un gesto che abbiamo apprezzato tutti, anche perché poi queste cose sono da esempio.
Credi che questi valori si stanno perdendo anche ad alti livelli? Al riguardo, Ti segnalo che, ad esempio, anche Carlo Ancelotti, recentemente (il 25.3.2019), ha ribadito questi concetti, che per noi sono determinanti, e sul quale battiamo molto: “Sono stato tanti anni all’estero, credo che altrove siano molto più avanti di noi nella cultura sportiva. In due anni in Inghilterra non ho mai ricevuto un insulto, qui invece ci insultiamo ancora. (Spr/AdnKronos – http://www.sportfair.it/2019/03/carlo-ancelotti-problema-calcio-italianoinsulti//).
Si, assolutamente.
Guarda, ho giocato un anno in Inghilterra [nel Blackburn, n.d.r.] e ti assicuro che giocare in Premier mi stra piaceva, sarei rimasto una vita a giocare lì. Hanno la cultura del rispetto sia in campo ma anche fuori.
Parlando di calcio giocato, in Premier vanno a 2000, ti entrano da tutte le parti, ma sempre sul pallone, o almeno quasi sempre [ride], ma l’avversario non sta a terra, si alza subito (tranne se si è fatto male veramente).
In serie A è incredibile quello che si vede. Scene pazzesche di gente che sembra stia per perdere una gamba, quando invece non ha nulla.
In Inghilterra, se fai finta, ti fischiano continuamente e non sei più credibile.
Anche per questo non seguo più il calcio italiano.
L’altro motivo è perché ci sono troppi stranieri.
Parliamo dopo di stranieri.
Vorrei però soffermarmi su un altro aspetto del calcio giovanile. Ormai questo sport è legatissimo al business, e molti ragazzi, anche in età adolescenziale – complice anche il nuovo ruolo dei social media – tendono a comportarsi come fossero già professionisti. Da uomo di calcio, ma anche in generale da uomo di sport, trovi che i giovani calciatori di oggi siano cambiati rispetto alla tua epoca? Ti chiederei in particolare di esporci le dinamiche comportamentali delle singole società rispetto ai ragazzi, e viceversa, ai tuoi tempi. E soprattutto come vi rapportavate Voi giovani promesse con le società, gli allenatori, i dirigenti.
Differenze abissali. La prima cosa è sempre la stessa parola che ti dicevo prima: il rispetto.
Mi ricordo, quando ero io nelle giovanili del Torino, che quando sbagliavi a fare qualcosa ti riprendevano una volta sola e lo facevano con severità, ma non potevi più sbagliare. La seconda volta che combinavi qualche stupidata ti mandavano a casa.
Questo modo di gestire ti faceva capire che dovevi avere rispetto dei ruoli, e comunque verso tutti, non solo i compagni o il mister, e l’avversario, ma anche i dirigenti, i medici, i magazzinieri, i preparatori, tutti.
Nella mia epoca l’aspetto comportamentale era molto importante.
Oggi molti ragazzi fanno fatica addirittura a salutare.
Bisogna anche dire che all’epoca c’erano degli autentici maestri, anche in campo, come nella vita, mentre oggi mi sembra si sia persa di vista questa componente.
Molti giovani hanno l’atteggiamento di sfida, come se fossero già arrivati, mentre non hanno capito che non hanno ancora fatto niente, e penso che la colpa sia, oltre che dei genitori, anche delle stesse società.
Poi per carità, i tempi sono cambiati, perché quando ero piccolo io prendevo anche le “legnate”, mentre oggi se anche dai una pacca sulla spalla ad un ragazzo rischi di prenderti una denuncia. Dai, è incredibile.
Pensi che questi problemi derivino anche dalla presenza incontrollata dei social?
Si certamente.
Ma non solo.
Anche dai Procuratori però. Molti di essi fanno capire al ragazzo che è bravo e che lo porterà in alto, anche se in verità non è forte, e intanto i genitori pagano.
Io capisco se un calciatore giovane è bravo o no, anche perché il calcio, quello ad alti livelli, non è per tutti.
I Procuratori vanno bene ma quando il ragazzo è già formato, ed ha ad esempio 18 o 19 anni, ed allora serve. Ma ti assicuro che vedo Procuratori intorno a ragazzini di 11, 12 anni. Ma non è possibile. Cosa promettono? Come fai a promettere qualcosa a 11 anni?
Guarda, sono stato fuori dal mondo del calcio per tanti anni e sono stato bene, ero stufo. Ma come ti dicevo prima, sono rientrato perché i miei figli hanno insistito, anche se a dir la verità ho cercato di dissuaderli, ma nulla. Insomma, dal di dentro vedo cose impressionanti in tante società.
Per fortuna al Montebelluna non è così.
Però sai, mi è tornata la passione del campo, e quindi è un piacere far parte dello staff tecnico di questa società.
E questi ragazzi li abbiamo presi 3 anni fa e sto vedendo la loro crescita, e sono cambiati dal giorno e la notte, perché ho cercato di portare i concetti giusti del calcio, sia dal punto di vista della “tecnica”, ma come dicevo, anche caratteriale e comportamentale.
L’aspetto tattico è secondario, anche se qualcosa ho portato, ma poco, altrimenti i ragazzi vanno in confusione. Devo soprattutto capire le posizioni, gli devi dare un indirizzo, ma poi devo essere liberi di fare scelte, gestire le situazioni.
Scusami se sto uscendo dal discorso, ma volevo chiudere questa discussione interessante con un aneddoto: quando sono arrivato spiegavo certi movimenti da fare, e nessuno mi dava retta, ma l’atteggiamento era chiaramente di sfida, perché a questa età c’è tanta presunzione.
Poi dopo un po’ di tempo, quest’anno, sono cambiati totalmente. Hanno iniziato a fare quello che gli dicevamo, sui movimenti ecc., ed i risultati si sono visti anche sul campo.
Quest’anno abbiamo iniziato un po’ male, ma il girone di ritorno le abbiamo vinte tutte e ci siamo guadagnati la fase finale.
E’ il gruppo che è bello, e ne sono orgoglioso. E’ importante che si crei coesione.
Credi che i problemi strutturali del calcio giovanile possano aver ripercussioni sul calcio professionistico?
Assolutamente sì.
Pochi giorni prima della doppia sfida, in Uefa Nations League, contro Polonia e Portogallo, il CT Roberto Mancini ha dichiarato: “dispiace vedere molti giocatori italiani in panchina. Spero sempre che gli italiani giochino, sono convinto che molti di quelli che sono in panchina sono molto più bravi degli stranieri che sono in campo”.
E lo stesso Selezionatore, a proposito delle seconde squadre: “anche le seconde squadre possono aiutare chi non gioca in prima squadra. All’estero non si fanno tanti problemi a far giocare i giovani, anche in Italia servirebbe più coraggio per lanciarli”.
Aggiungo l’intervista di Vincenzo D’Amico, del 19.2.2019 (qui il link: https://gazzettaregionale.it/notizie/d-amico-giovanili-troppi-stranieri-e-su-lotito): “Basta fare un piccolo esperimento. Leggere le formazioni delle squadre Primavera o dell’Under 17. Quanti stranieri troviamo? Tanti. E sai perché? Perché c’è maggiore margine di guadagno. Un calciatore che viene dall’estero, anche se non rende al massimo, rimane un’ottima pedina di scambio. E’ più difficile crescere un italiano”.
Tu come vedi la questione “stranieri”? Anche a livello giovanile, c’è una certa pratica a prelevare ragazzi provenienti dall’estero.
Il problema degli stranieri in Italia, sia a livello professionistico e sia a livello giovanile, è clamoroso..
E’ tutto legato, secondo me, al business, e quindi riprendiamo il discorso degli agenti. Del resto i ragazzi stranieri costano pochissimo.
Ma non c’è solo il problema dei soldi. Ci rendiamo conto che molti ragazzi di colore che vengono da paesi africani spesso (anzi, quasi sempre) sono più grandi rispetto a quanto registrato?
Come fai a giocare con gli esordienti (12 anni) contro squadre che hanno ragazzi di 3 o 4 anni più grandi e che quindi dovrebbero stare negli allievi? Logico che perdi.
Chissà come mai la maggioranza di questi ragazzi poi quando giocano con i pari età, a 18 anni o 19, spariscono dai radar, perché poi si livella tutto.
Ma pensi che gli addetti ai lavori non conoscano la situazione? Eppure si va avanti così da anni, ma se va avanti così dei giocatori italiani forti ne nasceranno sempre meno.
Questo ci riporta al problema, a mio avviso collegato, del risultatismo ad ogni costo. Cosa ne pensi?
Si.
E questa non è crescita.
Ecco perché non seguo più il calcio giovanile in Italia.
Vedere più della metà della rosa di una primavera o di una berretti composta da stranieri mi disgusta. Mi da fastidio.
Passi il giocatore forte, ma la maggior parte sono normalissimi.
Preferisco allora guardarmi la Lega Pro.
Certo, così si castra un intero movimento. E di riflesso costringi molti ragazzi a trasferirsi all’estero, per emergere, come ad esempio Cudrig, o Pellegri, o Scamacca.
Esattamente. In Italia il posto non esiste (come capita anche per altre professioni).
Ovviamente è un casino trasferirsi, perché la burocrazia ti uccide, però il concetto è quello.
Credi che le seconde squadre possano aiutare?
Penso di si.
In Inghilterra è da anni che ci sono e funziona. Loro non si fanno problemi a buttare dentro i giovani.
Quando giocavo io in Premier ogni mese c’erano 4 giocatori della nostra primavera che venivano con noi. Sempre. Fissi. E giocavano. Poi tornavano in primavera.
A dire la verità anche quando giocavo nella primavera del Torino era la consuetudine che i ragazzi giovani venivano portati in prima squadra, ma ora mi sembra che le cose siano cambiate, intendo a livello generale.
Però all’epoca non c’erano gli agenti, quindi era diverso. Ma arriverà un punto di rottura prima o poi.
Comunque in Italia ci sta provando la Juve con la seconda squadra, e quindi vediamo.
Tra l’altro un mese fa sono andato a Roma ed ho visto la nazionale under 20 per i mondiali e sono rimasto colpito dalla bravura dei nostri ragazzi e mi chiedevo quanti di essi giocano in prima squadra. Nessuno.
Quelli che giocano sono dovuti scendere in Lega Pro, oppure in serie B.
Esattamente. Alcuni di quei ragazzi li abbiamo intervistati. Ad esempio Salvatore Esposito, un play del 2000 che gioca nel Ravenna, in Lega Pro (è di proprietà della S.P.A.L.), ed a breve pubblicheremo un’altra chiacchierata con un prospetto interessante, Bellodi, dell’Olbia, sempre in Lega Pro.
Prendo spunto per parlare di calcio giocato: tutte le nostre rappresentative nazionali, dalla under 21, passando per la under 20 (mondiali), e sino ad arrivare alla 19 e 17 sono ufficialmente qualificate alle fasi finali degli Europei. A mio avviso è un grande traguardo per il nostro calcio.
Per esempio, la nostra Under 17 (i 2002) ha fatto un Europeo fantastico, anche se abbiamo perso in finale 4-2, ancora contro l’Olanda. Ci sono tantissimi talenti che oltretutto abbiamo schedato, e qualcuno tra poco intervisteremo (Gasparini ad esempio).
Ci puoi dare un tuo parere al riguardo?
Ho visto l’under 17 contro la Spagna e mi ha impressionato, anche se gli spagnoli hanno giocato malissimo.
Quindi i giocatori ci sono. Ma i giocatori ci sono sempre stati. Il calcio da noi è di livello, perché siamo forti, solo che hanno voluto distruggere tutto per soldi.
Che poi non capisco anche perché la nazionale debba far giocare gli “oriundi”, ma su questo aspetto stenderei un velo pietoso.
Io sono tradizionalista.
Comunque il sistema secondo me è da prendere e “radere al suolo”. Bisogna ricominciare.
Ma non te lo fanno fare. Prendi Tommasi, ad esempio, che non gli hanno consentito di fare nulla.
Dammi qualche nome di ragazzi che ti hanno impressionato in nazionale.
Non mi chiedere i nomi perché non me li ricordo.
Nell’under 17 c’è un attaccante grosso che ha fatto bene.
Cudrig? Gioca in Belgio, appunto..
Poi c’è Esposito (che ha esordito in Europa League), Tongya della Juve, Udogie del Verona, Pirola, Panada, Colombo, e tanti altri.
Esattamente.
Poi c’è un giocatore in U20 del Sassuolo, che giocava nel PSV, ma non so come si chiama. E’ un attaccante. Mi piace moltissimo.
Scamacca? Ha giocato anche nel PEC Zwolle, sempre in Olanda.
Si esatto. Mi ha impressionato. Ho chiesto ai miei figli e mi hanno detto che è in panchina al Sassuolo.
E poi mi piace molto anche Capone.
Se ti arrivasse un’offerta da parte di qualche società professionistica, rientreresti?
Non credo arriverà. Do troppo fastidio.
Perché se non posso fare quello che voglio mi mandano via.
A me non piace lavorare con persone che non capiscono nulla di calcio, ed il 70% dei dirigenti non sono uomini di calcio.
Sei stato un grande centrocampista della tua epoca, e quindi non c’è bisogno di presentarti. Hai vinto molto, ed oltretutto hai sfiorato un mondiale, perdendolo solo ai rigori in finale, contro il Brasile. Da sempre la scuola italiana è all’avanguardia relativamente al ruolo dei centrocampisti: della nuova generazione (diciamo a partire dalle promesse della classe 2000, 2001, 2002) chi secondo te sta emergendo? Ci puoi dare alcuni nominativi e soprattutto qualche dettaglio tecnico?
(n.d.r.: la nostra rivista ne ha schedati già alcuni, ma non vale spulciare!).
Secondo me uno è Belardinelli dell’Empoli.
Come ti ho detto, non seguo il calcio giovanile in Italia, e quindi mi fido.
Ti posso dire che tra i professionisti mi piace molto Cristante e Zaniolo.
Anche Cristante è stato all’estero.
Ricordi un talento della tua epoca, che poi si è perso?
Te ne cito due: Lentini che però era già un professionista. Era fenomenale. Qualità tecniche incredibili. Ma non si è perso, è solo che ha avuto un incidente. Ma poteva vincere tutto.
L’altro è Maurizio Silvestri che sento ancora tutt’oggi. Era arrivato in primavera del Torino dalla Lodigiani. Era un attaccante (e trequartista) dal talento impressionante.
Ricordo che doveva giocare un’amichevole contro la sua ex squadra ed ha chiesto al mister se poteva andare a trovarli la sera prima della partita, ma il mister si rifiutò, dicendogli che poteva andare dopo la partita. Lui andò lo stesso, di notte e lo scoprirono, e così fu mandato a casa.
Questo rammarico se lo porta dietro tutta la vita.
Adesso sta facendo “1 vs 1”, che è un’organizzazione (un’accademia diciamo) che aiuta i ragazzi a migliorare le qualità tecniche. Molto interessante.
E’ tutto un lavoro di velocità e tecnica, che è esattamente quello che serve oggi nel calcio.
Consentimi un’ultima domanda tecnica: ti dovessero chiedere di allenare, imposteresti la tua squadra con un gioco codificato, come ad esempio Conte, oppure lasceresti libertà ai ragazzi?
No, come ti dicevo al Montebelluna diamo un indirizzo, sui movimenti e su come stare in campo. E basta. Quindi pochi concetti, altrimenti come ti dicevo prima, vanno in confusione.
Istinto e libertà. Lasciamo iniziativa ai ragazzi e diamo la possibilità di sbagliare.
Grazie Dino, abbiamo terminato.
E’ stato un piacere. Un saluto a tutta la Rivista.
(Fonte foto: www.toronews.net)