FEDERICO BRANCOLINI (portiere) – A.C.F. FIORENTINA S.P.A.

Data di nascita: 14.7.2001
Luogo di nascita: Modena
Altezza: 192 cm.

A cura di Christian Maraniello

In una celebre dichiarazione di alcuni anni fa, il sig. Dadà, campione del mondo nel 1970 con il Brasile, celebrò la consistenza del gioco, con un refrain ormai passato alla storia: “in una squadra di calcio esistono nove ruoli e due professioni: il portiere ed il centravanti”.

Questa forma di gerarchizzazione un po’ teatrale, battuta invero in ogni angolo del tubo, mi è utile per iniziare questo breve approfondimento, sempre a modo mio, su un nuovo talento da presentare oggi: Federico Brancolini, classe 2001, della Fiorentina e nazionale under 19, di professione (non ruolo, appunto) portiere.

Alla scoperta di Federico Brancolini

Ho già depositato agli atti chiacchierate significative con due giovani baluardi nostrani, Alessandro Russo (leggi qui) e Manuel Gasparini (leggi qui), ma non posso fermarmi, perché l’ufficio richiede una vocazione spirituale che si proietta in avanti, al futuro, e ne devo dare continuamente conto.

Non sono – del resto – particolarmente avvezzo a quella forma plumbea di retrotopia, come la chiamava il compianto Bauman, e tuttavia, se è vero che il futuro non esiste ancora, quello di Federico appare essere già segnato, con fondazioni ben piantate. Le basi su cui poggia l’intera personalità di Federico sono, come leggerete, solide.

E, sebbene non sia solito fare paragoni, ci sono dei tratti distintivi che non vanno sottaciuti. L’ex canarino, infatti, si sta distinguendo tra la pleiade dei colleghi perché sta provando a temperare, con vivacità propria, il rigore del metodo sistematico ereditato dal tradizionalismo italiano, con il progetto della nuova realtà europea e modernista, che vuole più coinvolto il portiere nelle dinamiche di gioco.

E’ chiaro che un portiere non si può giudicare solo dalle sue capacità di essere proattivo nel gioco dal basso, però queste dinamiche vanno affrontate. Ho infatti già espresso, parlando con Gasparini e Russo, su questa Rivista, alcune perplessità sulla (nuova) tendenza, tuttavia – al di là del fatto che il processo evolutivo è ormai in atto – so bene che vi sono esemplari assolutamente affidabili per questa tipologia di idea concettuale. E Federico è uno di questi.

Ed allora, a prescindere, comunque, del suo percorso di crescita, devo ammettere che quando ci siamo conosciuti mi ha sorpreso – e non poco – la sua educazione ed esuberanza dialettica.

Per il vero, il suo procuratore, Pietro Parente, della “Parente Scouting”, mi aveva già parlato molto bene del suo assistito, ma Vi assicuro che già dopo pochi secondi che discuti con il ragazzo ti trasferisce nel suo entusiasmo spontaneo.

E’ stato quindi agevole dialogare a 360 gradi, non solo sulla sua carriera, o sui temi spesso sottovalutati, come l’etica, il rispetto, la magìa, la passione, ma anche con riguardo alla mistica del compito, che è quella che poi mi interessava maggiormente, per capire il suo pensiero su questo argomento normalmente schivato dai giovani.

Ecco perché Brancolini mi ha incendiato: ha seguito i miei input visionari, calibrandoli ai propri, senza alcuna riserva ontologica.

Sicchè, venendo al succo della faccenda, comincerei dalla conoscenza della propria realtà individuale: sa bene che essere un portiere equivale a sottoscrivere, a sangue e sudore, un contratto con i propri compagni, regolato su un key trip, tanto semplice quanto essenziale, chiamato fiducia.

Al riguardo, è stato infatti categorico: “il farsi sentire presente, dare fiducia al proprio reparto ed alla squadra intera sono caratteristiche che bisogna aver dentro, bisogna essere dei leader e riuscire a trasferire tranquillità attraverso la voce ed alle decisioni che si prendono, per sventare ogni genere di pericolo”.

Ascoltando Federico e questa sua acribia nel voler farti conoscere la sua passione, non si fa fatica a comprendere quanto siano state importanti per lui le varie società che lo hanno coccolato e cresciuto.

Tra queste certamente anche la Fiorentina che, pur avendo cambiato da poco proprietà, mi pare ancora fortemente proiettata a favorire lo sviluppo delle dinamiche giovanili.

A dir la verità – e sia consentito lo svolazzo – quando trovo questa disponibilità al dialogo, invero cosa non da tutti purtroppo, non posso far altro che ringraziare sia i ragazzi ma soprattutto quelle società, come appunto la “Viola”, del credito riservato a noi poveri appassionati, senza sponsor né portafoglio.

Resto convinto che tutte le società debbano dare visibilità ai propri ragazzi, anche attraverso queste esperienze, e non solo per la loro crescita, ma anche per quella dell’intero movimento. Basta leggere le bellissime parole di Federico, riservate alla società gigliata, per capire cosa riescono a darti questi ragazzi.

Tornando però a Brancolini, l’altro aspetto interessante è quello relativo alla forza mentale, di cui è pienamente dotato. Ne abbiamo discusso, e quindi leggerete il suo pensiero, però lasciatemi dire che riesce a sviluppare questa caratteristica proiettandola sulla conoscenza del gioco, che si traduce nella capacità di identificare le varie situazioni e guidare i compagni in ogni momento.

Dunque fiducia, forza mentale, ma poi ovviamente c’è lei, la parata, quella esibizione artistica dissidente che recapita una replica negativa a chi si permette di voler segnare.

Ed è questo il compito principale. Sicchè, vista con lo sguardo di un bambino, la vita che si sceglie il guardiano del castello, così strettamente connaturata all’ascesa ed al declino in un batter di ciglio, avrebbe i toni di una tragedia di Eschilo. E forse, volendo filosofeggiare un po’, le cose stanno anche così.

Ma è altrettanto vero che il gesto tecnico è anche piacere, divertimento, e violenza anche. E Brancolini, pur condividendo le mie opinioni, professa al contempo l’antiesteticità della parata, in favore di una più prosaica efficacia della stessa.

Non ne parliamo nella intervista che segue, perché ne abbiamo discusso vis a vis, però la sua idea – in linea di principio – è corretta, ma con una precisazione: ha un database impressionante di interventi plastici ed iconici, spesso decisivi. Anche questa è estetica, magari non voluta, ma pur sempre deliberata. Necessaria, ecco.

Insomma, non demonizzerei troppo l’esteticità, anche perché essa non è specificazione dell’arte, atteso che si presenta con scopi differenti in qualsiasi genere di interventi (quindi non solo nella parata, ma anche nell’uscita), di guisa che l’onnipervasività della dimensione ne risulta alle volte fuorviata.

Al di là di tutto, ciò che emerge da questa brillante conversazione è la ottusa ed ostentata fiducia nelle proprie capacità, senza però il rischio che il portierone di Modena finisca per peccare di “hybris”.
Buona lettura.

Intervista a Federico Brancolini

Federico, intanto ti ringraziamo della disponibilità.
Raccontaci come è nata la passione del calcio e se hai dei ricordi particolari delle prime partite giocate da bambino.

La passione per il calcio in realtà è nata grazie ad un mio grande amico, Luca, un fratello per me. Eravamo all’asilo insieme e lui si era iscritto in quella che poi si rivelerà la mia seconda casa/famiglia (us don Elio Monari). Un giorno mi convinse ad andare a fare una prova e da quel momento non mi tolsi più scarpe e guanti.
Altre due persone hanno influito molto sulla mia scelta: mio cugino Giacomo e mio fratello Francesco. Giacomo quando cominciai aveva già 15/16 anni (forse anche di più) e nei pranzi domenicali dalla nonna buttò giù l’idea, a me in primis poi ai miei genitori. Forse il fattore che mi convinse fu quello di seguire le orme dei più grandi quindi di mio cugino e mio fratello, fatto sta che da quel momento non riuscii più a staccarmi dai miei ‘attrezzi’ da lavoro (scarpe e guanti appunto).
Ho tantissimi ricordi delle partite giocate da piccolo ma quello che mi preme di più è che le sensazioni che provavo a 4/5 anni non sono assolutamente cambiate. Le cosiddette farfalle nello stomaco prima di una partita, la felicità che provo quando entro in campo e quando tocco la palla anche per fare due palleggi; ecco tutto questo lo provavo e lo provo tutt’ora perché per me il calcio è vita, divertimento, passione e libertà.

Bellissime parole, caro Federico. Poi torniamo sull’argomento, perché è vitale secondo me per Voi ragazzi.
Ricordi chi ti ha scoperto e l’eventuale provino?

Certo. Uno o due anni prima di passare alla società della mia città (Modena FC) la U.S. Monari organizzò proprio un’amichevole contro i pari età del Modena. Fu una partita fondamentale secondo me, perché riuscii e mettermi in mostra se così si può dire vista l’età. Avevo circa 9/10 anni, e pensai solo a divertirmi e tutto venne da sè. Finita la partita molti dirigenti della squadra canarina vennero da me a complimentarsi tra cui anche l’allenatore Marco Fila e penso che lo zampino più importante però ce lo misero Nello Cusin (allora era anche l’allenatore dei portieri di mio fratello, che giocava già nel Modena), Caco Borsari e Daniele Albinelli.
Qualche mese dopo arrivò la chiamata per il provino e durante l’estate, me lo ricordo come se fosse ieri, dopo una giornata di svago con mio fratello a giocare a calcio, una volta arrivati a casa feci la doccia, andai in cucina un attimo per mangiare qualcosa e Francy con mia mamma e mio papà mi fecero trovare un completino del Modena al mio posto a tavola.
Inizialmente pensai fosse un regalo poi realizzai e forse fu uno dei momenti più felici della mia vita.
Un sogno che si avverava, non ci potevo credere.
Per un bambino che ogni sabato andava in curva a tifare e a cantare per la squadra della sua città, poter indossare quei colori era un vero e proprio sogno.

Ne hai già parlato en passant, però vorrei che mi descrivessi, anche brevemente, il percorso che hai fatto prima di arrivare alla Fiorentina.

Guarda, alla Monari ho tirato i miei primi calci, i più innocenti diciamo, sono stati anni bellissimi che non scorderò mai anche grazie ai rapporti che si sono venuti a creare con staff e compagni.
Una volta passato al Modena il mio piccolo grande sogno cominciava ad essere realtà.
Era un mondo tutto nuovo, in cui non ci facevano mancare niente.
Il primo anno in maglia canarina disputavo un campionato provinciale ancora, ma lo prendevo già molto sul serio, e con il passare degli anni le responsabilità inevitabilmente crescevano. Il percorso che ho fatto al Modena è stato importantissimo nella mia formazione, sia umana che calcistica. L’anno prima di passare alla Fiorentina ero già nella rosa della prima squadra, e puoi solo immaginare cosa volesse dire per me farne parte; avevo i brividi alla prima convocazione.

La nostra Rivista ha pubblicato, recentemente, una scheda molto dettagliata sulle tue principali attitudini, quindi ti conosciamo molto bene. Come abbiamo già chiesto a due Tuoi colleghi di ruolo (Alessandro Russo e Manuel Gasparini), vorremmo sia tu a descriverci le tue caratteristiche principali, come interpreti il ruolo di portiere, e soprattutto, dove, secondo te, devi migliorare.

Il ruolo del portiere al giorno d’oggi e con l’andare avanti sta acquistando sempre più importanza, soprattutto perchè gli viene chiesto di implementare le proprie competenze, come ad esempio il gioco di piedi e le letture anticipate delle situazioni che si vengono a creare durante la partita. Tutte queste sono caratteristiche fondamentali per chi gioca nel mio ruolo.
Altra componente fondamentale nella formazione di un portiere è la mente; mentalmente il portiere deve essere forte perché lo implica il nostro ruolo.
Il ruolo del portiere è più dispendioso sotto l’aspetto mentale che fisico, proprio perché bisogna mantenere la soglia dell’attenzione elevatissima dal fischio iniziale a quello finale della partita, non ci si possono permettere pause mentali, nemmeno se la palla è dall’altra parte del campo.
Inoltre il contatto fisico nel calcio è all’ordine del giorno, quindi una buona impostazione sicuramente aiuta.
Come detto in precedenza il gioco con i piedi è diventato fondamentale per un portiere, infatti in settimana una/due sedute di allenamento sono proprio dedicate a questo importantissimo fattore sul quale anche io personalmente insisto molto.

Vorrei facessi un excursus sulla tua carriera, sia al Modena e sia alla Fiorentina: puoi raccontarci la metodologia di lavoro specifica per voi portieri nelle varie categorie. Cosa ti chiede lo staff tecnico in particolare?

Fortunatamente per la mia crescita ho sempre trovato grandi professionisti, ampiamente competenti in ambito calcistico e di questo fantastico ruolo.
Ovviamente i primi anni al Modena i carichi ed i metodi di lavoro erano diversi da quelli attuali.
Le caratteristiche fisiche influiscono molto sulle metodologie di lavoro, infatti nelle giovanili e anche nelle prime squadre i preparatori consegnano schede personali da svolgere in base alle proprie caratteristiche prevalentemente fisiche. Come detto in precedenza le letture situazionali ed il gioco con i piedi sono caratteristiche fondamentali che ormai ogni squadra richiede ai propri portieri.

C’è una partita, in particolare, che ricordi nelle giovanili?

Sinceramente di partite da raccontare ne avrei tante ma una preferita ce l’ho.
Era un Cesena-Modena dei giovanissimi nazionali, mi ricordo pure il giorno, era il 14 Febbraio 2016. Forse il san Valentino più bello che abbia mai passato! Quell’anno ero anche il capitano quindi l’emozione è stata doppia. Il Cesena era la nostra bestia nera quell’anno insieme al Parma, la partita finì 2-1 per noi in casa loro. Fu una grande soddisfazione di gruppo e personale, emozioni che non dimenticherò mai.
Inoltre come allenatore allora avevo Roby Malverti, un mister che poi si è rivelato un secondo padre per la fiducia che mi ha dimostrato e per il rapporto che si è venuto a creare tra noi, e che tutt’ora va avanti.
Senza dubbio l’anno più bello che ho vissuto calcisticamente parlando a Modena.

Sai bene che il ruolo del portiere – affascinante di per sé – nel calcio moderno ormai è divenuto determinante, e con il tempo si è evoluto e continuerà ad evolversi. Al portiere si chiede molto: spiccata personalità, coraggio, reattività tra i pali, sicurezza nelle uscite, e addirittura piedi “educati”, ossia maggior coinvolgimento nei contesti tattici.
Hai dei modelli di riferimento? Credi di somigliare a qualcuno? E cosa ruberesti al tuo “idolo”?

Beh il mio idolo e prototipo di portiere, fin da quando ho cominciato, è Gigi Buffon. Adesso ci sono tanti esempi da seguire come De Gea, Areola, Lloris, Allisson, ma il mio preferito rimane Buffon proprio perché la sua lettura del gioco e delle situazioni rimane unica ed è proprio questa caratteristica che gli ruberei. Lui sa cosa succede prima che si avveri, è sempre nella posizione giusta al momento giusto e sono cose che cambiano l’andamento di una partita.

La lettura del gioco. Esattamente.
Al di là però delle sensazioni tecniche, come sai intorno al portiere c’è sempre stata una sorta di aura da personaggio epico, vuoi per la “solitudine” in campo, vuoi perchè da sempre il portiere si porta sulle spalle il peso della vittoria o della sconfitta: giochi da solo, comandi la difesa, non hai obblighi tattici e sei sempre protagonista, nel bene e nel male. Secondo te si “nasce” portiere o si può diventare?

Come già detto l’aspetto mentale per un portiere è fondamentale proprio per l’insieme di cose che hai elencato, come solitudine e concentrazione. Il farsi sentire presente, dare fiducia al proprio reparto ed alla squadra intera sono caratteristiche che bisogna aver dentro, bisogna essere dei leader e riuscire a trasferire tranquillità attraverso la voce ed alle decisioni che si prendono per sventare ogni genere di pericolo.

Anche per te il portiere deve avere una buona dose di pazzia? Ti vedi in questa classificazione?

Certo, un po’ di sana pazzia ci vuole anche perchè non tutti sono disposti a buttarsi di testa in mezzo alle gambe degli altri. Forse è proprio questo il fascino del nostro ruolo, l’essere diverso. Leggermente matto [ride]

Due nazionali molto promettenti come te, Russo (ora al Sassuolo) e Gasparini (Udinese) mi hanno riferito che una caratteristica essenziale per essere un grande portiere è la forza mentale. Russo, ad esempio, ha insistito molto sulla “forza mentale, che per qualunque sportivo è la base da cui poi viene tutto: fa parte del carattere e si rimane forti di testa se si riesce a rimanere sereni e divertirsi”.
Credi sia così?

Assolutamente si, come dargli torto? La forza mentale oltre che essere una caratteristica propria della persona è anche una conseguenza. Si è forti se ci si diverte e se si sta bene con le persone che ti circondano, sia in campo che fuori. La serenità mentale ti aiuta a uscire da quei momenti di difficoltà, che capitano in ambito calcistico e non solo.
Però essere forti di testa non vuol dire riuscire in tutto senza l’aiuto di nessuno, a volte si è forti mentalmente proprio quando si chiede aiuto e si insiste nel riuscire a fare qualcosa.

Quest’anno abbiamo visto alcune Vostre partite, ed in particolare la prima, contro il Bologna (pirotecnica, vinta per 6-3, dove tu non giocasti), e contro la Roma, parimenti vinta per 3-0. La proposta tattica di mister Bigica mi pare molto interessante, perché utilizza un tridente effervescente, con attaccanti rapidi e bravi nella riaggressione immediata, con transizioni attive (Duncan, Pedro, Koffi, Simic). Mentre la difesa la state registrando, dopo i tre gol presi contro il Bologna e quello contro l’nter. Ecco, cosa ti chiede tatticamente Mister Bigica?

Mi trovo molto bene con Bigica perchè da molta importanza al mio ruolo, sia in fase offensiva che difensiva. Tatticamente vuole un gioco propositivo, in cui il portiere è fondamentale per il possesso della palla. È molto chiaro sulle proprie idee di gioco e sulle cose che chiede, ed una caratteristica fondamentale che richiede è il coraggio sul giocare alto, impedendo agli avversari le giocate filtranti alle spalle della linea difensiva. Il mister è bravo a trasmettere le proprie emozioni e sono convinto che ognuno venderebbe cara la pelle per lui, me compreso.

Hai una “specialità” che puoi considerare tua? Quanto influisce l’allenamento specifico?

Sinceramente non mi piace molto parlare delle mie qualità/pregi o difetti. Penso solo a curare ogni minimo particolare. Una cosa che mi sento di dire è che la testa e la mente contano tanto ed io mi reputo forte sotto quest’aspetto.

Domanda d’obbligo: il tuo ruolo naturale è quello di portiere, ma hai giocato in altre posizioni durante il tuo percorso nelle giovanili, oppure hai sempre giostrato da ultimo baluardo?

Devo dire che la mia vocazione è sempre stata quella di fare il portiere, ma non nascondo che dietro c’è un perchè molto simpatico.
Quando ho cominciato a giocare alla U.S. Monari diciamo che fisicamente non ero molto in forma, mi piaceva mangiare e faticare poco.
Il primo giorno che mi sono presentato al campo l’allenatore Leonardo Zanfi (Leo per tutti) mi ha chiesto in che ruolo volessi giocare e subito risposi portiere, forse anche perchè influenzato da mio fratello e mio cugino.
Mi è capitato però di giocare in altri ruoli, come attaccante e difensore più che altro perchè la mia stazza confronto a quella degli altri bambini aiutava.

Sei ormai presenza fissa nelle varie nazionali giovanili. E come avrai avuto modo di vedere, stiamo intervistando molti tuoi colleghi che vivono come te questa meravigliosa esperienza. Puoi parlarci delle emozioni a vestire la casacca azzurra? E soprattutto se puoi dirci come lo staff tecnico lavora come collettivo e singolarmente (con voi portieri ovviamente).

Guarda, avere il tricolore cucito sul cuore e poter rappresentare il proprio Paese è un onore ed un’emozione che solo chi la vive può capire: brividi ogni qualvolta arriva la chiamata dalla Nazionale. Ho lavorato con tanti Staff in questi tre anni di azzurro, e dire che sono di altissimo livello sarebbe quasi riduttivo; non ci fanno mancare nulla ed hanno una professionalità assoluta in tutto.
Il lavoro svolto in nazionale è leggermente diverso da quello del club a causa del tempo che si ha a disposizione per preparare la partita che viene. A livello di collettivo il lavoro è molto tattico, individualmente invece ci si confronta molto con i mister e con i collaboratori per arrivare alla gara nel miglior modo possibile e tutto ciò comprende fisioterapia, alimentazione e lavoro in campo.
Ogni mister ha i propri modi di lavorare e di vedere il gioco ed il ruolo (parlo esclusivamente dei portieri) ma non cercano mai di cambiare radicalmente il modo di lavorare o nel mio caso di parare; mettono a disposizione la loro grande esperienza attraverso la quale si può solo imparare.

Restando in tema Italia, da noi si parla – a sproposito – della pochezza tecnica delle nuove generazioni, anche se a mio parere il trend un po’ si è capovolto. Ci sono stati buonissimi risultati anche a livello di nazionale.
In Primavera, ma anche in serie A e B, ci sono ragazzi interessanti e forti, penso a te, ad Esposito, Candela, Russo, Corbo, Gaetano, Riccardi, Piccoli, Caviglia, Tongya, Gasparini, Ricci, Mazza, Millico, Russo, Carnesecchi, e tanti altri.
Si è alzato il livello secondo te?

Inevitabilmente con la ricerca di nuovi giovani da lanciare nel mondo dei grandi il calcio giovanile ha dovuto svoltare. Con l’avvento della primavera 1 e 2, quindi un vero e proprio campionato di serie A e B per i giovani, gli stimoli per le società e per i calciatori stessi sono tantissimi; sono campionati intenzionati proprio a formare giovani pronti per le prime squadre.

Quindi il livello cresce e del resto lo si vede anche – ripeto – nelle nazionali giovanili. Dalla under 21 passando per la 20 (Mondiali), e sino ad arrivare alla 19 e 17 (ora impegnati ai Mondiali in Brasile), la stagione scorsa, si sono qualificate alle fasi finali delle varie kermesse. A mio avviso è un grande traguardo per il nostro calcio.
Ci puoi raccontare il nuovo progetto tecnico in seno alla Federazione? Lo staff tecnico vi parla in questo senso? E voi, come portieri, vi sentite coinvolti in questa nuova “proposta” e se sì in che modo?

È ovvio che ogni qualvolta la nazionale si ritrovi a giocare una competizione come europeo o mondiale l’intenzione è quella di fare bene e perchè no anche quella di vincere. Tralasciando le categorie non bisogna dimenticare che rappresentiamo l’Italia, un paese che segue il calcio e che lo vive in ogni città.
La cultura è sempre stata quella di vincere e continua ad essere questa.
Come si nota da tempo, anche in nazionale si punta molto sui giovani e penso che questo coraggio stia cominciando a dare i primi frutti, vedendo anche i risultati della Nation League e della qualificazione all’Europeo 2020.
Il nuovo progetto era proprio questo, puntare sui giovani e penso stia riuscendo molto bene, a prescindere dal ruolo.

Concordo. Voglio restare un attimo in tema di calcio giovanile.
Recentemente abbiamo pubblicato delle interessanti interviste sui problemi del settore, con Dino Baggio, Antonio Cabrini, David Di Michele, e sono venute fuori argomentazioni molto stimolanti, soprattutto su come i ragazzi stiano perdendo un po’ di vista la vera essenza del calcio, che è passione, divertimento, e cultura del sacrificio.
Ad esempio, Di Michele mi ha detto testualmente che “I ragazzi, come sottolineate spesso, stanno perdendo i valori dello sport, e le colpe sono da attribuirsi un po’ a tutti i livelli: dagli stessi ragazzi, sino ad arrivare ai genitori, al sistema calcio in generale, e poi i social media”
Come vedi la situazione vivendola in prima persona?

Non sono pienamente d’accordo, perchè il calcio e la sua essenza per chi ci gioca non può perdersi. Questo magnifico sport richiede sacrifici sin da giovanissimi. Tralasciando il professionismo per un attimo, pensare alle famiglie che fanno chilometri per portare i propri figli alla partita il sabato o la domenica mattina, i cosiddetti “pranzi al sacco” prima degli allenamenti dopo la scuola, beh tutto ciò mi fa pensare che dietro ci deve essere un perchè ed una passione nei confronti del calcio troppo forti per far si che si perda la sua essenza.
Ovviamente è soggettiva la scelta di continuare o meno a praticarlo, e anche se si prendesse la seconda via dentro alla persona rimarrà sempre un amore incondizionato e un senso di gratitudine verso questo fantastico sport, perchè comunque vada il calcio è coesione, amicizia e divertimento prima di tutto.
Vivendo la situazione social da vicino devo dire che a volte questi mondi virtuali possono scappare di mano, soprattutto nel mondo dello sport ed il perchè, purtroppo, è che gli si da sempre più importanza.
I social dovrebbero passare sempre in secondo/terzo piano, invece non si fa altro che parlarne. La verità è che sono mondi capaci di rovinarti come persona e come sportivo anche solo per un insignificante fraintendimento e tutto ciò mi sembra davvero surreale.
Bisogna imparare a conviverci e a gestirli con intelligenza, altrimenti diventano davvero un grande problema.

Restiamo un attimo in tema e parliamo un po’ di magia e di passione, visto che hai le idee chiare.
Il 24 maggio in Vaticano si è tenuto un evento dal titolo “Il calcio che amiamo”; tra i tanti passaggi più emozionanti del Pontefice, vi sono questi: “La felicità è dare un pallone a un bambino per giocare (…), dietro a una palla che rotola c’è quasi sempre un ragazzo con i suoi sogni e le sue aspirazioni (…). Spesso si sente dire anche che il calcio non è più un gioco: purtroppo assistiamo, anche nel calcio giovanile, a fenomeni che macchiano la sua bellezza. Ad esempio, si vedono certi genitori che si trasformano in tifosi-ultras. Il calcio è un gioco, e tale deve rimanere (…). Si rincorre un sogno, senza però diventare per forza un campione. È un diritto non diventare un campione”.
Ecco, riflettendo un attimo davanti a queste parole significative, credi che il calcio stia davvero perdendo la magìa che aveva nella nostra infanzia?

Come detto in precedenza, dire che la magia del calcio sta svanendo mi sembra eccessivo perchè il calcio rimane uno sport splendido a partire dai pulcini fino ad arrivare nelle prime squadre. Purtroppo di spettacoli osceni sugli spalti se ne sono visti e se ne vedranno sempre a livello giovanile e non, ma li personalmente penso che stia all’intelligenza della persona evitare certi “spettacoli”.
Ai bambini invece di vincere, bisogna insegnare a divertirsi perchè solo così secondo me un sogno può diventare realtà e per molti ragazzini, il vero sogno è proprio il divertimento innocente del correre dietro ad un pallone con gli amici; sogni che non possono essere soffocati dalla crudeltà e dalla mente piccola di certa gente che pensa a soddisfare solamente i propri interessi.

Bravissimo. Concordo. Ed approfitto per parlarti di questa interessante proposta di Giovanni Galli, ossia di obbligare i genitori a partecipare a riunioni rieducative e ascoltare i consigli di psicologi, dirigenti sportivi e pedagogisti, su come ci si comporta sugli spalti.
Lo stesso Di Michele (leggi qui) mi ha parlato di aspetti interessanti: “Sono convinto che sia molto più importante parlare con i ragazzi di etica e di rispetto, piuttosto che di calcio giocato, di tattica e di tecnica”.
Ecco, noi teniamo molto a questi ideali dell’etica e del rispetto, per cui ti chiediamo di dirci due parole al riguardo.

Guarda, secondo me questi sono tutti ideali che il calcio insegna, in quanto è uno sport collettivo in cui si vive giorno per giorno in mezzo alle persone, è un mondo in cui il rispetto reciproco è fondamentale. Confronto a questo argomento tutto il resto passa in secondo piano, perchè senza il rispetto per gli altri non si va da nessuna parte in ogni ambito.

Tornando a te: sei proiettato verso il calcio che conta. La società ti ha dimostrato grandissima fiducia in te. Si legge spesso il tuo nome accostato a grandissime squadre, anche in Premier. Queste voci ti infastidiscono, nel senso che ti danno pressione, oppure sono un pretesto per fare meglio?

Io penso solo ad allenarmi, a giocare e a migliorarmi come giocatore e come persona e soprattutto penso a divertirmi. Ciò che succede fuori dal rettangolo verde o che si legge sui giornali non mi distrae minimamente, fa piacere sentire parlare bene di me, anzi, è motivazionale; per questo penso solo a migliorare e a lavorare duramente in campo e fuori. Fortunatamente ho una grande etica del lavoro e questa cosa mi aiuta tanto.

Vorrei ci descrivessi cosa significa per te fare parte della Fiorentina. Sappiamo che vieni spesso aggregato in prima squadra, e quindi sei dentro al progetto tecnico.

Avere il giglio sul cuore e nel cuore è un ideale che solo chi ha giocato nella Fiorentina può capire.
Quando da piccolo guardavo calciatori giovani speranze in tv, con mio fratello, pensavo a quanto potesse essere incredibile giocare in una società del genere e quando si è presentata l’opportunità non ho potuto rifiutare. La passione che c’è a Firenze per il calcio è emozionante, l’attaccamento alla maglia dei tifosi e della società stessa ti fa venire voglia di sputare sangue in campo pur di renderli orgogliosi.
Ho l’opportunità e la grande fortuna di confrontarmi e di lavorare con grandissimi professionisti oltre che con persone eccezionali, in prima squadra cerco giornalmente di rubare qualcosa ai più grandi ed esperti. Non tutti hanno queste opportunità, mi sento molto fortunato e per questo lavoro duramente ogni giorno, per onorare la maglia e per raggiungere il mio obiettivo.
L’attaccamento alla maglia è inevitabile nella viola, è un qualcosa che viene spontanea; ci si innamora della città e delle persone. Ne diventi dipendente.

C’è un allenatore che ricordi con più affetto nella tua carriera? Perché?

In verità ce ne sono due di allenatori che porto nel cuore per ciò che hanno dimostrato nei miei confronti: Roby Malverti ed Angelo Freddi (corrispettivi mister di quadra e mister dei portieri del mio penultimo anno al Modena nell’under 15).
Prima di essere stati due grandissimi allenatori sono persone speciali, uomini con la U maiuscola ed è anche e soprattutto grazie a loro che l’anno dei giovanissimi nazionali è stato il più bello nel mio passato in maglia canarina.
Non venivo da un’ottima stagione e loro insieme mi hanno fatto “resuscitare” se così si può dire, mi hanno dato tutta la fiducia di cui avevo bisogno (fondamentale per chiunque faccia il mio ruolo), dandomi anche la fascia di capitano. Per mentalità, per l’impegno e la passione che ci metto in quel che faccio la fascia l’ho vista come un riconoscimento enorme e gliene sono davvero grato. In quell’anno abbiamo vinto tanto, ci siamo tolti moltissime soddisfazioni e soprattutto è rimasto un rapporto unico tra di noi; non li dimenticherò mai.

Ci dai la tua personale classifica dei migliori portieri, in assoluto (anche non in attività, a tua discrezione)? Almeno i primi 3, o 4, e perchè.

Mi baso su quelli che ho visto giocare: Buffon, Allisson, De Gea, Lloris.
Questi sono secondo me i portieri più forti in quanto non gli manca nulla delle qualità che deve avere un portiere. Non penso ci sia bisogno di andare oltre con le parole, le loro prestazioni e le loro qualità umane parlano da sole.

C’è un calciatore con cui vorresti giocare un giorno? Ed un allenatore? Se si, puoi descriverci le motivazioni?

Un calciatore con cui mi piacerebbe giocare è ovviamente Buffon. Ho avuto l’onore di allenarmi con lui un paio di volte in nazionale ed è stata un’emozione incredibile. È una persona eccezionale ed un professionista esemplare; un esempio in tutto e per tutto.
Un allenatore che mi piacerebbe avere invece è Jùrgen Klopp; riesce a dare una carica alla squadra pazzesca. Lui vive le partite insieme alla squadra, sembra che sia in campo con loro a sudare e a sputare sangue; si vede che darebbe la vita ai suoi ragazzi e conseguentemente l’intera squadra lo farebbe per lui.
Come avrai capito l’impatto emotivo e le emozioni che si vivono all’interno di un gruppo per me sono molto importanti, ci deve essere passione nel proprio lavoro e Klopp ne ha da vendere.

Hai un obiettivo specifico, a livello calcistico?

Di sogni e di obiettivi che mi sono prefissato di raggiungere in ambito calcistico ne avrei tanti da elencare, però penso solo ad affermarmi e a farlo diventare il mio lavoro. Allenarsi duramente ogni giorno è l’unica strada per riuscirci, ed io faccio del mio meglio per farlo accadere.

Segui il calcio estero? Quale in particolare?

Devo dire che l’estero non lo seguo tanto ma appena posso il primo campionato che cerco di vedere è la Premier. Per ora è il campionato più divertente secondo me. Le partite in Inghilterra hanno un’intensità allucinante, è un’azione dietro l’altra; non riesci a starci dietro.

Ci parli del Federico ragazzo? Passioni, hobby, studio, amicizie.

Mi reputo un semplicione, nel senso che per essere felice (fuori dal campo) mi basta poco; sono un tipo tranquillo a cui piace circondarsi di persone vere e che mi facciano stare bene quando siamo insieme, per questo mi reputo anche un grande selezionatore. Da piccolo passavo dei pomeriggi a disegnare, ma devo dire che i miei hobbies sono un pò cambiati nonostante l’arte mi piaccia molto.
Appena ho un momento libero da passare a casa vado con mio fratello a pescare o passo giornate intere nel negozio di famiglia in centro a Modena, per godermi la compagnia di chi amo davvero. Nei week end non impegnati sportivamente parlando, andare a ballare con gli amici è una consuetudine.
Un’altra mia grande passione è la musica; ascolto ogni genere dal pop al reaggeton, ogni canzone suscita emozioni diverse anche dal momento che si sta vivendo personalmente, è parte fondamentale delle mie giornate.
Scolasticamente parlando mi manca l’ultimo anno di superiori ma devo dire che non ho mai fatto fatica a superare gli anni passati, in quanto prendo molto seriamente ogni cosa che faccio. Ora come ora non penso di continuare a studiare una volta finite le superiori, però mai dire mai.
Come detto in precedenza mi piace circondarmi di persone che fuori dal campo riescano a farmi stare bene, che mi facciano staccare da tutto e con cui posso parlare di tutto senza usare maschere. A Firenze non ho molte amicizie fuori dal campo, perchè andando poco a scuola non sono riuscito a conoscere molti ragazzi ma sinceramente mi bastano quelli che ho a Modena che più che amici li reputo dei fratelli.
In particolare mi preme nominarne uno tra tutti: Matteo Barbieri. Ci siamo conosciuti al mio secondo anno al Modena e se devo dirla tutta inizialmente non l’avevo battezzato proprio benissimo e questa cosa è simpatica perchè da quel momento non ci siamo più separati. Ci sentiamo telefonicamente tutti i giorni e ci strappiamo quel sorriso giornaliero che serve, ormai la nostra è una vera e propria routine. È un vero e proprio fratello per me, gli voglio un mondo di bene.

Ultima domanda: il ruolo della tua famiglia rispetto alla tua carriera.

La mia famiglia ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella mia vita dentro e fuori dal rettangolo verde. Sono legatissimo ai miei genitori a mio fratello ai nonni ed ai cugini, nessuno passa in secondo piano.
I primi tempi a Firenze sono stati molto difficili proprio a causa della lontananza da casa ma loro mi hanno aiutato tanto, cercando di essere sempre presenti e facendo sacrifici enormi per questo gli sono davvero grato. Un’ altra cosa per cui devo ringraziarli è che mi hanno sempre sostenuto in ogni mia scelta, appoggiandomi e facendomi ragionare laddove non ero ancora abbastanza maturo. Mi reputo un uomo grazie a loro e non so come avrei fatto e come farei se non fossero al mio fianco.
Hanno compreso da subito la mia dedizione al calcio e anche sotto quest’aspetto non mi hanno mai intralciato il cammino, anzi, vivono le emozioni che vivo io in prima persona ma giustamente si limitano a fare i genitori e mi danno consigli extracalcistici. Ogni tanto mi fermo a pensare a ciò che hanno fatto per me in tutto il mio percorso e non so davvero come ringraziarli, spero e voglio ripagare ogni loro sacrificio e soprattutto voglio renderli fieri di me.
Il rapporto che abbiamo è unico, siamo molto uniti e quando sono a casa mi sembra di non essermene mai andato.
Io e Fre (mio fratello) siamo inseparabili, siamo un’unica cosa e forse è quello che mi capisce di più fra tutti; è unico, facciamo ogni cosa insieme e sono fiero di lui per ciò che ha fatto e per ciò che sta costruendo all’interno del negozio.
È difficile da spiegare il nostro rapporto perchè per riuscire a comprenderlo bisogna viverlo in prima persona, non ci sono parole che riescano a descriverlo.
I nonni ricoprono una parte fondamentale della mia vita: la nonna Rita ed il nonno Andrea da parte della mamma, invece il nonno Franco e la nonna Anna da parte del papà. I nonni purtroppo non li vedo spesso soprattutto quelli da parte di mia mamma perché vivono dall’altra parte di Modena ma ci sentiamo ogni sera e la domenica quando possibile ci ritroviamo sempre a casa loro a mangiare da anni ormai; mi trasmettono carica ed ideali che ormai nelle nuove generazioni si stanno perdendo.
Quello che vedo di più è il nonno Franco in quanto lavora ancora nel negozio d’abbigliamento di famiglia in centro, ed è lui che ha trasmesso a me e mio fratello la passione per la pesca.
I nonni sono unici come ogni componente della mia famiglia, ognuno svolge un ruolo fondamentale e dire che li amo non è abbastanza.

Ringraziamenti

Terminata la chiacchierata, che son certo essere stata di Vostro gradimento, voglio ringraziare in primo luogo Federico, non solo per la sua profonda sensibilità ma anche – soprattutto – per la particolare attenzione che ha dimostrato di avere in tutti gli argomenti trattati.

Ritengo sia l’atteggiamento giusto e che va ben oltre la buona prassi (diciamo) professionale, e che anzi si è dimostrato un valore aggiunto che – lasciatemelo dire – ha fatto la differenza.

Per parte mia, sono sempre più contento di poterVi fare conoscere questi piccoli grandi Uomini, che cercano di cavalcare i propri sogni, senza però farsene travolgere.

Ringrazio certamente anche il Procuratore di Federico, Pietro Parente, della “Parente Scouting”, per tutta la disponibilità concessami in questi giorni.
Un sentito ringraziamento lo riservo, infine, alla società “A.C.F. Fiorentina”, ed in particolare al responsabile Area Comunicazione, sig. Ettore Centanni, per la fiducia.

Federico Brancolini
Federico Brancolini

(Fonte foto: www.fiorentinanews.com)

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