ALBERTO DEL GROSSO (centrocampista) – A.S. CITTADELLA S.R.L.
Data di nascita: 5.4.2001
Luogo di nascita: Chiavenna
Altezza: 174 cm.
Piede: Destro
A cura di Christian Maraniello
In un calcio ormai orientato al dinamismo fisico e violento, vi sono ancora piccoli spazi di luce e cerebralità tecnica, riservate alla armonizzazione del caos, specie in quelle aree di campo deputate alla meccanica strategica di ogni modello tattico.
Alla scoperta di Alberto Del Grosso
Chi vi presento oggi, infatti, è il prodotto (giovanile) di questa versatile categorizzazione, ossia Alberto Del Grosso, cresciuto nelle giovanili del Como, poi dell’Inter e quindi al Cittadella, in Primavera 2.
Armonizzare e gestire il caos è, appunto, la sua personale visione del centrocampista moderno, a cui Alberto si è dovuto invero adattare. Nasce infatti da vertice basso, o se preferite da regista (nell’accezione tradizionale del termine), e così cresce sino a diventare il perno dell’Inter Under 17 guidata da mister Zanchetta, dove si toglie tante soddisfazioni, prima di infortunarsi seriamente nel momento forse cruciale della sua carriera.
L’assenza per lungo tempo lo ha frenato, sebbene solo fisicamente, perché – malgrado abbia giocato comunque pochissimo con mister Madonna in Primavera – ha deciso di ritagliarsi uno spazio importante in una nuova realtà, che lo ha aiutato a crescere anche in un disegno tattico diverso, da mezzala interpretativa, tecnica, di palleggio.
Cambiando modello e compiti Alberto, a mio giudizio, sta trovando una propria identità, pur non essendo aiutato da una struttura corporea importante, che tuttavia non gli ha impedito di mostrare attitudini importanti anche in contesti federali.
Le prestazioni di Del Grosso, infatti, sono state apprezzate sia in Italia, grazie alla convocazione di mister Corradi nella nazionale under 15, per il “Torneo dei Gironi”, e sia nella lontana Australia, nazione di nascita della madre: i “Socceroos”, difatti, lo hanno recentemente chiamato per uno stage in under 23, ed Alberto si è disimpegnato benissimo.
Ecco cosa significa dare fiducia ai giovani, ed ecco cosa significa, soprattutto, avere il coraggio di staccarsi da società importanti per poter giocare e dimostrare il proprio valore.
Ci vuole risolutezza e di certo ad Alberto non manca. Forza mentale, tecnica, ma soprattutto personalità anche di determinare lo sviluppo gioco con libertà discrezionale, ed a me questa garanzia incendia, perché – come scrivo spesso – senza autodeterminazione non esiste il calcio.
Ecco il motivo per cui ho accennato, in apertura, alla evoluzione odiosa di questo sport: il trip fisico e strutturale non potrà e non dovrà mai essere la soluzione.
La presenza di giocatori come Alberto, chiamati a governare zone di campo vastissime dentro un corpo ordinario, spiegano le moderne architetture.
Sono questi i giocatori da celebrare, non i centrocampisti-bracconieri usati come macchine utensili per distruggere. Noi vogliamo ragazzi che sappiano costruire. Che sappiano comprendere lo sviluppo per manipolarlo, accrescendo così il “volume” del gioco.
Insomma, non voglio la normalità, ma la meritocrazia tecnica ed associativa. Non condivido chi scrive “che la non-stazza sta diventando, piano piano, un manifesto di rivalsa” (così testualmente su “Il Guerin Sportivo” – n. 11, novembre 2019, pag. 8) per un motivo semplice: non c’è alcuna ritorsione in chi sa giocare a calcio, senza avere un fisico da mammut preistorico, bensì solo passione e volontà di vedersi riconosciute le proprie capacità tecniche, condizionali e coordinative.
E’ un argomento che mi deprime, ragazzi. Sento troppo spesso parlare di fisicità e struttura, ma non può essere questo l’unico “calcio” che piace.
E per fortuna ci sono giocatori importanti che spesso sculacciano questa filosofia nauseante. Prendete Sensi, non a caso un punto di riferimento di Alberto: in una recente conferenza stampa in nazionale, tuona: “nel calcio di oggi non contano solo fisico ed altezza, è un calcio talmente veloce che l’aspetto fisico è importante, ma questo non vuol dire non avere atletismo”.
Bum. Come si dice nel tennis? Game, set, match.
Buona lettura.
Intervista ad Alberto Del Grosso
– Caro Alberto, intanto ti ringraziamo per la Tua disponibilità.
Raccontaci come è nata la passione del calcio, e cosa rappresenta per te questo meraviglioso sport.
Grazie a te per la opportunità!
Guarda, la passione per il calcio è nata sin da bambino, quando inizialmente giocavo al campetto con mio papà, e poi all’oratorio, con i bambini pi grandi. Poi sono entrato nella squadra del mio paese, l’A.C. Mese, e lì sono rimasto fino a 10 anni, quando poi sono andato a giocare al Colico, in una società più importante, dove sono rimasto due anni. Cosa rappresenta questo sport per me? Il calcio è tutto, è la mia passione.
In realtà te l’ho chiesto perché, sebbene in apparenza sembra essere una domanda banale, diventa però significativa se calibrata alle parole, crude, di Carlos Tevez, pronunciate in una recente intervista: “ho la stessa sensazione di quando giocavo da voi: i ragazzini sanno tutto di tattica ma la palla non la toccano bene. In Argentina si gioca ancora per la strada”. Cosa ti senti di dire ai bambini che si affacciano al calcio?
No, banale no, anzi direi che la domanda è giusta e mi piace. La dichiarazione di Tevez comunque è verissima. Lui poi è un campione, ed in effetti, se mi ci fai pensare, non si vedono più i bambini giocare per strada.
Credo anche io che questa mancanza si possa far sentire un domani.
Diciamo che ai bambini che iniziano a giocare direi di approcciarsi in maniera semplice, tenendo sempre presente che durante l’infanzia ci si deve divertire sempre e non bisogna mai dimenticarsi questo aspetto.
Sono d’accordo e ti devo dire che molti ragazzi che abbiamo intervistato (da ultimo vedi Brancolini e Bianchi, ad esempio), mi hanno parlato del divertimento come di un aspetto da non dimenticare mai, come approccio di base.
Questo vale anche per me, assolutamente. Poi è chiaro che quando arrivi in Primavera cominci anche a pensare alla professione, però se giochi a calcio senza divertirti penso sia brutto e probabilmente ne risente anche la prestazione, anzi le prestazioni nel lungo.
Condivido. Ed anzi, hai toccato, forse senza volerlo, un altro aspetto che viene sottovalutato nel calcio giovanile, che la passione e la cultura del sacrificio.
Ho intervistato Dino Baggio, Antonio Cabrini e David Di Michele su questi argomenti e ad esempio, Di Michele mi ha detto testualmente che “I ragazzi, come sottolineate spesso, stanno perdendo i valori dello sport, e le colpe sono da attribuirsi un po’ a tutti i livelli: dagli stessi ragazzi, sino ad arrivare ai genitori, al sistema calcio in generale, e poi i social media”
Come vedi la situazione vivendola in prima persona?
Guarda, io ti dico che ho avuto dei genitori che mi hanno educato ai valori importanti, e di questo sono loro riconoscente, per cui io mi terrei fuori da queste situazioni.
Però mi rendo conto che effettivamente molti ragazzi, ma già anche diversi calciatori di alto livello, sono attaccati ai social. Certo, ci sono giocatori molto giovani che magari giocano in società blasonate che si sentono già arrivati e quindi esagerano un po’.
Onestamente non so se criticarli o meno, diciamo che io ne sono fuori, o comunque ho solo Instagram ma non lo uso tantissimo.
Ci vorrebbe più equilibrio.
Ecco, scusa se ti interrompo. Parli (correttamente) di equilibrio e parli anche di ragazzi che si sentono già arrivati. Ti chiedo; la scelta di andare da una società di alto livello come l’Inter ad una realtà più piccola come il Cittadella deriva da queste dinamiche?
Non c’è dubbio che la scelta era rischiosa, perché il salto è notevole, però adesso che ci sono dentro sono contentissimo. E’ vero che l’ambiente è diverso, più piccolo, ma non per questo meno competitivo. Anzi.
Considera che il livello tecnico è molto elevato e lo staff preparatissimo.
Io comunque volevo giocare e volevo dimostrare il mio valore, ed all’Inter avrei avuto qualche difficoltà.
Oltretutto loro mi avevano proposto di andare a giocare in serie D, oppure in Lega Pro, ma io volevo restare in Primavera, e crescere ancora. All’Inter o sei un fenomeno (come Esposito ad esempio), oppure è difficile che riesci ad emergere. Lui ha bruciato le tappe, ma ci sono tanti altri ragazzi molto forti che poi si sono persi, e non sempre per colpe loro.
Questo è però uno dei mali del nostro calcio: la mancanza di fiducia nei giovani.
Naturalmente si. La mia scelta sarà stata coraggiosa, però sta pagando. Gioco, ed imparo. Cresco diciamo. Questo è sempre stato il mio obiettivo e ringrazio il Cittadella che mi sta aiutando.
Parliamo ancora un po’ di magia e di passione. Prendo spunto da un recente evento svoltosi in Vaticano (il 24.5.2019) dal titolo “Il calcio che amiamo”; tra i tanti passaggi più emozionanti del Pontefice, vi sono questi: “La felicità è dare un pallone a un bambino per giocare (…), dietro a una palla che rotola c’è quasi sempre un ragazzo con i suoi sogni e le sue aspirazioni (…). Spesso si sente dire anche che il calcio non è più un gioco: purtroppo assistiamo, anche nel calcio giovanile, a fenomeni che macchiano la sua bellezza. Ad esempio, si vedono certi genitori che si trasformano in tifosi-ultras. Il calcio è un gioco, e tale deve rimanere (…). Si rincorre un sogno, senza però diventare per forza un campione. È un diritto non diventare un campione”.
Credi che il calcio stia davvero perdendo la magìa che aveva nella nostra infanzia?
Le parole del Papa sono corrette, soprattutto quando parla di sogni e di genitori, che troppo spesso danno pressioni eccessive.
Poi comunque il mondo del calcio è troppo legato al business ed ai soldi, per cui è chiaro che tutto dipende da quello, e quindi direi che la magia si perde.
Comunque ti dico che, come ho detto prima, ho avuto la fortuna di avere genitori che mi hanno insegnato i veri valori, e mi sono sempre stati vicini.
Quindi, almeno da questo punto di vista, penso di essere fortunato.
Oltre a questi aspetti, ve ne sono però altri, che fanno parte di una cronaca che a noi non piace, e che però alcuni ex grandi calciatori stanno affrontando con sapienza.
Ad esempio, avrai letto della proposta di Giovanni Galli di obbligare i genitori a partecipare ad “allenamenti pedagogici”, ossia riunioni rieducative per ascoltare i consigli di psicologi, dirigenti sportivi e pedagogisti, su come ci si comporta sugli spalti.
Di questi argomenti ne ho parlato con Antonio Cabrini, Dino Baggio, e mister Di Michele, su questa Rivista. Quest’ultimo, in particolare, mi ha raccontato alcuni aspetti interessanti: “Sono convinto che sia molto più importante parlare con i ragazzi di etica e di rispetto, piuttosto che di calcio giocato, di tattica e di tecnica”. Ecco, noi teniamo molto a questi ideali dell’etica e del rispetto, per cui ti chiediamo di esporci il tuo pensiero al riguardo.
Quanto alla proposta di Galli, sono d’accordo. Non è certamente bello far vedere ai bambini delle risse, specie tra i genitori. L’esempio è davvero brutto.
Quanto alle parole di mister Di Michele, è chiaro che di aspetti come etica e rispetto vanno tenuti in seria considerazione, però è altrettanto vero che a noi ragazzi importa giocare, ed è difficile che si parli di tematiche così importanti, anche se a dirti la verità a me piacerebbe.
Ne parlate con la società ed i dirigenti?
Poco o niente.
Ricordo comunque che sulla materia del rispetto, ad esempio, all’Inter avevamo un regolamento molto rigido, che copriva diverse tematiche specie di spogliatoio.
Avevamo anche un mental coach, che chiunque poteva sollecitare diciamo, per parlare di argomenti diversi.
Sul razzismo cosa mi dici? Purtroppo assistiamo a frequenti episodi schifosi (da ultimo a Verona, con Balotelli che scaraventa il pallone in curva). Voi ragazzi come vivete queste situazioni? Hai mai assistito ad episodi simili? Vi infastidiscono?
In partita onestamente non mi è mai capitato, ma ho visto in televisione la scena di Balotelli, oppure anche un altro episodio in Francia, non ricordo chi, che ha buttato poi la palla in tribuna ed ha fatto gesti brutti contro chi lo insultava, ed è stato addirittura espulso.
Vedere ancora episodi di razzismo è davvero brutto. Penso sia una sconfitta per tutti, e vorrei che si facesse qualcosa di serio per far smettere queste persone.
Chiuse le domande complicate, torniamo alla tua crescita professionale:
Descrivici, brevemente, il percorso che hai fatto nelle giovanili del Como e dell’Inter, prima di arrivare al Cittadella, e se hai dei ricordi particolari delle prime partite giocate da bambino.
Vorrei citarti un ricordo che rimarrà indelebile per me. Era un torneo che abbiamo disputato ad Appiano Gentile, con i pulcini del Mese, dove affrontammo diverse squadre blasonate ed arrivammo addirittura in semifinale, ed io vinsi la medaglia di miglior giocatore.
In quel contesto poi mi hanno chiamato al Milan a fare dei provini. Ricordo che mi allenavo con loro una volta alla settimana, ma ero troppo piccolo ed inoltre abitavo distante, così non mi presero.
Quindi il primo provino lo hai fatto con il Milan, poi al Como, corretto?
Si, al Como feci il provino quando giocavo al Colico, anche se onestamente non ricordo in che partita mi osservarono.
Ho iniziato questa nuova avventura al Como partendo dai giovanissimi regionali con mister Didonè, ed è stata una bellissima esperienza, così come il secondo anno, dove arrivammo quinti dietro il Cagliari nei giovanissimi nazionali.
Il terzo anno invece vincemmo il campionato con l’annata 2000/2001 ed andammo a fare le finali a Cesenatico dove vincemmo la finale contro il Padova per 3-0. In realtà in questa fase finale giocai a spezzoni, però ho avuto la fortuna di giocare gli ottavi, dove segnai un gol importante, e mi videro gli osservatori dell’Inter.
Tra l’altro giocammo anche in Supercoppa contro l’Inter, ma perdemmo 3-0.
Quindi arrivi all’Inter in under 17.
Si però non sapevo nulla della chiamata dell’Inter. Tra l’altro non era un periodo facile, perché c’erano voci del probabile fallimento del Como, e difatti ero un po’ preoccupato per la carriera e per i miei compagni
Chiaro. Eravate disorientati immagino.
Si, assolutamente. Però come ti dicevo dell’Inter non sapevo nulla, mentre invece poi ho scoperto che i miei genitori sapevano già da un po’ che sarei andato lì, ma non mi dissero niente per farmi stare tranquillo nella fase finale.
Poi a fine stagione mi hanno comunicato che avrei giocato con i neroazzurri e ovviamente ero felicissimo ed emozionato.
Parlaci di come sei cresciuto tecnicamente e tatticamente nell’ambiente neroazzurro, e soprattutto della metodologia di lavoro con mister Zanchetta.
Guarda, devo dire che i primi due mesi sono stato difficili perché giocavo ancora in modo molto elementare, superficiale, da “ragazzino” diciamo, perché nessuno mi aveva insegnato bene a giocare seriamente da centrocampista, e quindi ho fatto fatica ad assecondare le sue richieste tattiche.
Poi comunque sono cresciuto in ogni fondamentale, anche perché giocavo play in una mediana a tre, quindi il ruolo lo conoscevo ma – ripeto – all’Inter vogliono cose diverse.
Che tipo di difficoltà hai avuto?
Soprattutto a livello di “idee” e di gioco, non tanto di intensità. Però mi sono dato da fare, ed ho assimilato quello che chiedeva il mister e devo dire che ho imparato molto, anche se adesso al Cittadella gioco da mezzala.
Con mister Zanchetta abbiamo fatto una bella annata, siamo arrivati quarti, e siamo usciti con la Juve. Peccato.
Però ogni esperienza aiuta a crescere e ti servirà nel prosieguo, anche da mezzala.
Si, sono d’accordo.
Quindi l’infortunio che ti ha tenuto lontano dai campi per tanto tempo.
Dopo un anno in Primavera dove giocasti pochissimo, arriva la tua scelta di approdare al Cittadella, e direi che la decisione si è rivelata corretta (parliamo dopo della convocazione con la under 23 australiana). Vorrei che mi parlassi sia del perché hai scelto il Cittadella, e poi delle differenze (tecniche e fisiche) che hai riscontrato con il passaggio dall’Inter alla società veneta.
Arrivo al Cittadella ed è cambiato tutto. Qui gioco ed apprendo. Imparo. Diciamo che posso dimostrare il mio valore.
Ho già perso un anno, e quindi avevo bisogno di giocare in Primavera.
Come ti trovi nel nuovo assetto tattico di mister Rossi? Ti chiede qualcosa in particolare, e soprattutto hai cambiato modo di giocare, o comunque di interpretare il ruolo?
Allora intanto ti dico che la più grande differenza che ho riscontrato rispetto all’Inter è il possesso. Qui al Cittadella subiamo un po’ di più, mentre all’Inter ero abituato a gestire il possesso, ed era più semplice (diciamo) perché la palla l’avevamo sempre noi.
Quindi quest’anno devo stare molto più attento alla fase difensiva e correr di più [ride], ma ritorniamo sempre al discorso crescita. Sono contento di cimentarmi in situazioni sempre diverse.
Hai già realizzato due reti pesanti, contro Venezia e Milan. Come giudichi questo tuo inizio di campionato?
Si, sono molto felice di questo inizio, anche perché non sono mai stato un centrocampista che segnava molti gol, per cui mi sto divertendo parecchio.
Ovvio che da mezzala ho più possibilità di arrivare in zona tiro, e di sfruttare le mie peculiarità, quindi è un ruolo che mi piace.
Naturalmente devo stare attento e concentrato anche nella fase difensiva.
Veniamo alle tue caratteristiche tecniche. Ma prima consentimi una richiesta, che peraltro faccio a tutti i talenti che conosciamo.
Ti chiedo di parlarci delle tue caratteristiche principali e del tuo modo di giocare ed interpretare il ruolo. E soprattutto, dove, secondo te, dove puoi migliorare.
Penso di essere un centrocampista dotato di buona tecnica di base ed a cui piace giocare a calcio, nel senso che sono portato per il palleggio; poi comunque adesso da mezzala sto imparando anche a muovermi senza palla, negli spazi, o ad inserirmi, cosa a cui prima non era abituato.
Sono cose che mi chiede mister Rossi.
Quanto ai difetti direi che non ho una grande struttura fisica.
Scusami Alberto, ma questo non può mai essere un limite. Io credo che chi sa giocare a calcio non deve portare il fardello di una scarsa fisicità. Anzi, ti dirò di più, secondo me i giocatori con poca struttura ma con idee saranno sempre i migliori, perché sanno determinare.
Quindi, parlami di altri eventuali difetti.
Il gioco aereo! (ride)
Quando giocavi play sei stato accostato a Pirlo, come metodologia di gioco, anche se a mio avviso i riferimenti diciamo più “umani” erano Volpi (uno degli ultimi registi “puri” degli anni 90, ex Brescia e Samp), Maresca e Cigarini: geometrie, passaggi corti e rapidi, visione in corto ed in lungo, intelligenza tattica, intercetti.
Guardavi dei video specializzati per comprendere dinamiche e movimenti?
Si, l’accostamento ci sta. Sono andato a vedere qualcosa dei giocatori che mi hai citato e quindi sono d’accordo. Certo Pirlo è un Maestro, ma mai mi sarei sognato di accostarmi a lui.
Quanto ai video specializzati, no, non li guardo. Però ti dico che ultimamente cerco di imparare qualcosa guardando la Champions League e la Juventus, che è la mia squadra del cuore.
Al Cittadella comunque il lunedì riguardiamo la partita appena svolta e ne discutiamo insieme.
Quindi, abbiamo parlato a 360 gradi delle tue caratteristiche, però vorrei sapere se queste attitudini sono innate o se sei migliorato con il tempo, grazie al lavoro meticoloso tuo e dello staff tecnico.
La tecnica è certamente innata, e si può migliorare, ovvio, ma devi essere portato. Devi averla nel sangue.
Il resto si, credo nel lavoro e nel miglioramento. Adesso che appunto gioco in un ruolo che non conoscevo, mi sacrifico tanto per sviluppare sempre di più le mie conoscenze.
Che è poi quello che chiede il calcio evoluto, cioè versatilità. Pensi che potresti, un giorno, cambiare ulteriormente meccanica di gioco, magari alzandoti sull’ultimo terzo di campo, da trequartista?
Hai questa curiosità di cimentarti in ruoli differenti?
Da trequartista ho giocato da piccolo, ma preferisco stare sempre nel vivo del gioco. Penso che da trequartista non ho lo spunto nello stretto o il dribbling. Poi chiaro che se la guida tecnica me lo chiede lo faccio, ma preferisco fare il centrocampista puro.
Ne hai parlato con Mister Rossi del ruolo?
Si, gli avevo detto che avrei preferito giocare da play, però mi ha visto da mezzala e mi ha chiesto di crescere in questo ruolo che comunque è molto interessante.
Quindi vuole un play più di rottura, strutturato.
Si. Vuole un mediano alto, di rottura, abile nel gioco aereo. Mentre come interni chiede tecnica e corsa.
In Italia, si parla – a sproposito – della pochezza tecnica delle nuove generazioni, anche se a mio parere il trend è cambiato. Ci sono stati buonissimi risultati anche a livello di nazionale. I nostri under 17 sono usciti ai quarti del mondiale contro il Brasile.
In Primavera, ma anche in serie A e B, ci sono ragazzi interessanti, penso a te, ad Esposito, Candela, Russo, Corbo, Gaetano, Riccardi, Piccoli, Tongya, Gasparini, Ricci, Mazza, Millico, Vignato, Udogie, e tanti altri.
Si è alzato il livello secondo te?
Io penso che dobbiamo partire da un presupposto e cioè che negli ultimi anni il livello si era abbassato tanto, difatti la nazionale maggiore non si è qualificata per gli ultimi mondiali in Russia. E’ stata una grande delusione per il movimento.
Quindi adesso devo dire che i risultati sono migliorati tantissimo. Anche mister Mancini sta facendo bene con la nazionale maggiore ed oltretutto chiama anche tanti giovani, il che non guasta.
Penso che in questo periodo abbiamo delle nazionali forti, anche a livello giovanile.
Quando sei stato convocato in nazionale under 15, per il Torneo dei Gironi, hai riscontrato una metodologia diversa negli allenamenti?
Beh a Coverciano ci sono tecnici federali preparatissimi. Io avevo mister Corradi, ed era davvero bravo.
Però c’è sempre il problema della poca fiducia nei giovani, anche se – come hai detto anche tu – Mancini sta chiamando tanti ragazzi anche del 1999 o 2000 (vedi Kean, Zaniolo, Tonali). Ma a livello di club la situazione non migliora.
Abbiamo parlato con diversi talenti (nel giro delle nazionali giovanili) di questo tema, e Flavio Bianchi, capitano della Primavera del Genoa, mi ha detto testualmente: “in Italia è molto difficile emergere, perché i giovani hanno poco spazio e non riescono a dimostrare le proprie capacità, giocando pochi minuti o addirittura niente”.
Quest’anno solo tre giocatori hanno esordito in A, provenienti dal settore giovanile, ossia Kumbulla, Esposito e Astana.
Cosa pensi di questo grandissimo problema?
Direi di si. Siamo molto indietro rispetto ad altri campionati europei, anche se negli ultimi anni, specie in serie B, sta cambiando qualcosa. C’è più fiducia.
Si è vero. Ci sono tanti talenti che stanno cominciando ad emergere, come Bettella nel Pescara, Nicolussi Caviglia nel Perugia, ecc.
Esatto. Bettella, ma anche Zappa, Esposito per esempio. Parlo chiaramente dei miei ex compagni nell’Inter, che approfitto per salutarli.
Speriamo che cambi qualcosa.
Pochi giorni fa sei stato convocato per uno stage, in under 23, nella nazionale australiana. Puoi parlarci di questa esperienza? e se puoi dirci che ambiente hai trovato (metodologie di lavoro, ecc.), e soprattutto se hai dei sogni particolari legati alla nazionale.
Intanto devo dirti che la chiamata è arrivata ovviamente a sorpresa e ne sono stato felicissimo. Comunque ho la doppia nazionalità, perché mia mamma è nata in Australia, così il mio procuratore ha fatto apposita richiesta a mezzo mail.
Mi hanno chiamato per questo stage in previsione delle partite valevoli per la Coppa d’Asia, ed è stata una grande emozione, anche perché ci sono giocatori importanti, che hanno già giocato un mondiale.
Poi sono stato fortunato perché è stato convocato anche Gabriel Cleur, dell’Alessandria, in Lega Pro, e quindi ci siamo aiutati a vicenda, anche perché avremmo avuto difficoltà a comunicare con gli altri a causa della lingua complicata.
Ho giocato contro l’under 23 del Qatar per 30 minuti.
Nel ruolo di mezzala hai un modello di riferimento? e se si, cosa gli ruberesti, a livello tecnico o tattico?
Direi Sensi e Verratti.
Cosa ruberei? Parlando di Sensi senza dubbio gli ruberei la facilità di gioco, la balistica e la spensieratezza.
Sensi giocava nel Sassuolo e come è arrivato all’Inter ha sfoderato subito prestazioni di altissimo livello. Incredibile davvero. Penso che solo chi è leggero, libero (diciamo) di testa e appunto spensierato può giocare così bene.
– C’è una partita (o più partite) che ricordi nelle giovanili? Ci puoi descrivere le motivazioni?
Contro il Milan, quest’anno. Senza alcun dubbio. Ho anche segnato.
L’ho vista un po’ come una rivincita, visto che come ti ho raccontato prima, ho fatto dei provini e non mi hanno preso.
C’è un calciatore con cui vorresti giocare un giorno? Ed un allenatore?
Del Piero! Però va beh ormai non si può più. Oggi direi Dybala.
Come allenatore direi mister Conte. E’ stratosferico.
Hai un obiettivo specifico, a livello calcistico, nel breve periodo?
Esordire con il Cittadella, tra i professionisti.
Ci parli del Alberto “ragazzo”? Passioni, hobby, studio, amicizie.
Mi piace prendere la vita con il sorriso e scherzare. Esco spesso con gli amici, andiamo al bar a giocare a carte oppure andiamo in centro a fare un giro. Tra i miei hobbies, oltre al calcio, c’è il ping pong. Sono un fenomeno [ride], mentre per quanto riguarda gli studi, frequento la quinta liceo sportivo.
Ultima domanda: il ruolo della tua famiglia rispetto alla tua carriera.
Come detto, sono stati molto bravi e devo ringraziarli, anche perché oltre ad avermi insegnato i valori importanti, mi hanno anche aiutato con il calcio, con pazienza. Mi portavano tutti i giorni agli allenamenti e insomma era un bell’impegno.
Ad esempio da Colico a Como la strada era parecchia, eppure mi hanno sempre portato, non facendomi mai mancare appoggio e sostegno.
Mi hanno aiutato tantissimo ad inseguire il mio sogno!
Ringraziamenti
Spero che anche questa lunga chiacchierata sia stata di Vostro gradimento.
Auguro un grosso in bocca al lupo al ragazzo per una radiosa carriera, e che –soprattutto – mantenga intatta la sua visione della vita e del calcio.
Ringrazio quindi Alberto per la disponibilità, nonché l’ufficio stampa della società A.S. Cittadella S.r.l., nella persona del responsabile, Davide De Marchi, per la fiducia.
(Fonte foto: m.tgbiancoscudato.it)